CENNI STORICI
Sui rilievi che circondano la valle del fiume Tusa, lembo di territorio in cui le risorse naturali e agricole s’intrecciano in un rapporto armonico con la tradizione, la storia e la cultura, si trovano diversi centri abitati tra i quali Pettineo, comune del quale il feudo Foieri (in passato chiamato anche Fojeri, Faeri, Faeli o Sciara Foieri) è parte integrante. Il piccolo centro sorge in una zona litoranea collinare, posta a 284 metri s.l.m. e oggi conta circa 1500 abitanti. A 3 km circa dal centro abitato, percorrendo la provinciale verso Castel di Lucio in prossimità del ponte Migaido, oltrepassato il fiume, una carrareccia sulla destra consente di giungere al feudo dove, ad un’altura di 320 m s.l.m., è ubicata una delle più belle strutture rurali del territorio, il “Baglio Foieri”.
Sulla sponda ovest del fiume Aleso, il baglio Foieri non è l’unico esempio di architettura rurale. Infatti a poche centinaia di metri l’una dall’altra sorgono altri casali e masserie quali tra i più importanti, partendo da sud le case Ciambra, casa Ogliastro, i Palmenti, Torre di Migaido, case Scardino e a nord scendendo verso la costa tirrenica troviamo casa Suvarita, case S. Leonardo,case Aieddo, case Romito, case Ospedale, baglio S. Ippolito o Sampolito, casa Feudo.(vedi C.T.R.); tantissime altre sulla sponda opposta al fiume.
Quello di Foieri però, rispetto alle suddette accoglie degli accorgimenti costruttivi di pregevole manifattura artigianale che lo rendono unico in tutto il territorio. Esemplari infatti sono la presenza delle volte realine, degli archi in mattoni, dei cantonali con conci posti a sfalsare (testa e fascia) con un rapporto lunghezza/altezza di 1 : 5, archi ribassati monolitici in pietra sui vani porta e finestre anch’essi di notevoli dimensioni, cornicioni alla cappuccina, e paramento murario ben ammorsato con conci pressoché regolari.
La ricerca storico-archivistica condotta purtroppo non ha fornito alcuna informazione sul baglio. Infatti non è databile con certezza l’epoca di costruzione, anche perché da una ricerca catastale risulta essere stata registrata solo nel 2002. La sua esistenza, non venne registrata neppure nella mappa Corografica del territorio di Pettineo dell’anno 1895, dove vennero individuate le località di interesse storico. Ma la presenza di alcuni accorgimenti costruttivi, ci fanno pensare che la struttura esistesse già in precedenza. I documenti di cui sono riuscito a venire in possesso accertano la proprietà del Feudo. Esso, apparteneva infatti ad una famiglia baronale. Trattasi della Famiglia Giaconia. Dagli studi effettuati e azzardando qualche ipotesi sono venuto alla seguente conclusione: i baroni Giaconia furono, e lo sono ancora in parte, attuali proprietari dell’ex feudo Migaido, limotrofo al Feudo in esame. Inoltre sono ancora oggi proprietari del Mulino nelle immediate vicinanze del ponte di Migaido. Come detto nel capitolo precedente, il feudo Foieri, insieme al feudo Ogliastrotto e Loreto, erano in origine terreni di pertinenza del castello di Migaido. Partendo da questi presupposti, si può pensare che il feudo Foieri sia stato lasciato in eredità a Carolina Giaconia che sposò il Barone Francesco Lucio Lipari, vissuto a Mistretta nel periodo di maggiore agiatezza (metà ‘800), quando i mistrettesi, uniti in diverse società presero in affitto tutti i feudi del distretto, vari feudi nell’interno dell’isola spingendosi fino alla Val di Mazzara dove erano affittuari di più di un terzo dei feudi. Dallo sposalizio nacquero cinque figlie tra cui Giuseppina (1894) e Anna Maria (1889). A questo punto, fonti sicure, quali un contratto di compravendita che smembrò definitivamente il feudo, ci assicurano che le ultime proprietarie del fondo furono proprio loro due. Si trattava di un feudo esteso circa 262 ettari, dove le attività che si svolgevano al suo interno andavano dal campo della pastorizia con produzione di prodotti caseari e carni da macello, alla produzione di vino con estesi vigneti oggi completamente spariti, e poi ancora uliveti, agrumeti, boschi, e campi seminativi. La trasformazione dei prodotti avveniva nel fabbricato rurale in esame costituito da quattro magazzini, una stalla, uno stallone per bovini, una pagliera, due vani per alloggio coloni con forno e da un primo piano con un grande vano centrale, tre vani e cucina, dove le baronesse trascorrevano la stagione estiva. Quest’ultime non si occuparono mai delle attività del fondo, giacché lo affittarono per tantissimi anni al commendatore Giuseppe Russo di Sant’Agata di Militello, cittadina del quale era stato vice sindaco. Suo collaboratore, braccio destro e fedele aiutante di campo fu il sovrastante Biagio Amata. Nel 1966 Giuseppina e Anna Maria decisero di vendere il fondo rustico in agro di Pettineo alle cooperative “Risveglio Alesino” di Tusa e “S. Placido” di Castel di Lucio, col fine di formare piccole proprietà contadine. Le due cooperative erano dirette dal movimento contadino, in cui spiccava il nome dell’allora assessore di Tusa, nonché sindacalista Carmelo Battaglia, socio fondatore nel 1945 della cooperativa tusana e che lottò con tutte le sue forze per ottenere il feudo. Un feudo di 262 ettari, nel periodo post-bellico, era una fortuna per chi lo possedeva, e anche per chi ne possedeva la gabella. Infatti a Foieri c’erano le mandrie del comm. Giuseppe Russo che non prese per niente bene il fatto che doveva ritirarle, e con toni molto aspri minacciò le due cooperative di lasciare i terreni. Ma adesso i proprietari erano tanti. Tanti di loro vivevano con timore le minacce subite, ma non Carmelo Battaglia e Domenico Castagna, fedelissimi amici, oltre che compagni di ideali.
Fallito questo tentativo, il Russo provò a corrompere il vice sindaco comunista di Tusa, Giovanni Drago, offrendogli denaro; andato in fallimento anche questo, compì un grave atto di violenza a scopo intimidatorio: le mandrie del commendatore invasero le terre delle cooperative. È un fatto quest’ultimo rivelativo di un comportamento prepotente e sopraffattorio, metodo ortodosso della classica violenza degli “uomini da feudo” contro i contadini nemici da sconfiggere ad ogni costo, specie se organizzati e guidati da personaggi dediti alla lotta per un rinnovamento sociale. Il comm. Russo, non voleva e non poteva perdere nella maniera più assoluta i terreni per diversi motivi: prima di tutto perché avrebbe avuto dei contraccolpi per il suo prestigio di uomo rispettato nel giro degli amici; per di più le sue mandrie, circa quattrocento capi, avevano bisogno d’erba e di pascoli per l’inverno. D’altro canto quelli della cooperativa hanno le loro mucche e capre, e si erano tolti il pane dalla bocca per avere quelle terre per il quale avevano pagato centotrè milioni delle vecchie lire, di cui settanta erano stati mutuati e da pagare negli anni. Le cooperative chiesero il risarcimento dei danni causati dalla provocatoria invasione delle bestie del Russo, che offrì centomila lire. L’offerta venne giudicata oltraggiosa; i contadini la respinsero e riuscirono ad ottenere cinquecento mila lire. Questi, sono fatti che per un uomo come lui sono inaccettabili mortificazioni. I contadini a quel punto fecero costruire il recinto a loro spese, ma un mattino i capi di Russo e Amata sconfinano sul lotto di Battaglia, che li cacciò sulla terra che Giuseppe Miceli, un socio pavido e facile al compromesso, aveva ceduto al commendatore aderendo alle sue lusinghe e prestandosi al suo gioco. Corrono così parole aspre e minacciose tra il Battaglia e il sovrastante Amata e pochi giorni dopo l’assessore comunale venne trovato cadavere, a ginocchioni e con il viso poggiato su un masso proprio mentre percorreva col mulo la trazzera che lo avrebbe portato a Foieri. Questa macabra messa in scena di porre in modo accovacciato il cadavere fu un atto di sottomissione nei confronti di un uomo che in vita non si era mai arreso, e il viso adagiato sul masso stava ad indicare che chi parla troppo ha i giorni contati. A questo punto vennero fatte diversi ipotesi per scoprire chi era stato ad uccidere il sindacalista. Una di queste fu quella relativa alle discussioni avute con Russo e Amata. Il delitto però rimase impunito per assenza di prove significative. Gli inquirenti individuarono in questa esecuzione una reazione dei mafiosi all’attività delle due cooperative di Tusa e di Castel di Lucio, le quali “avevano osato acquistare Foieri, un feudo di 270 ettari, per trasformarlo, come stanno facendo in modo esemplare con le altre terre in loro possesso”. Oggi è stata accostata la figura del sindacalista tusano ad Epifanio Li Puma, Placido Rizzotto e Calogero Cangelosi: “I martiri di Petralia, di Corleone, di Camporeale i quali erano socialisti, come lo era stato Carmelo Battaglia”.
La morte di Battaglia portò dunque astio nei confronti dei possibili uccisori, e così i due imputati per l’omicidio lasciarono definitivamente Foieri. Da quel momento i contadini poterono lavorare senza alcun timore i loro terreni. Negli anni a seguire, con la crisi dell’agricoltura e con le nuove normative sulle produzione di prodotti caseari, le attività di campagna andavano sempre più scemando. Questo portò ad un progressivo abbandono delle terre e del fabbricato rurale. La cooperativa “risveglio alesino” si sciolse e i terreni di detta cooperativa furono acquistati tutti da Domenico Castagna, attuale proprietario, per metà del baglio. L’altra metà infatti appartiene tutt’oggi alla cooperativa castelluccese. Insieme nel 2005 decisero di spartire i confini e le entrate attraverso un atto notarile. Vennero così fatti dei lavori quali una parete divisoria al primo piano e una scala simmetrica a quella già esistente.
Data pubblicazione:27-11-2019
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